La rivoluzione incompiuta

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Alla fine di un anno scolastico difficile, trascorso per la maggior parte in didattica a distanza, è tempo di bilanci. Tanti, troppi problemi restano aperti: inclusione, parità di accesso, mancanza di fondi, precariato.

La prima fonte di dati è l’Unesco: a fine gennaio sono state pubblicate le cifre globali relative alla chiusura delle scuole. Dalla prima mappa si evince che nel 2020 l’Italia è stata il terzo Paese al mondo, dopo Mongolia e Cina, a chiudere le aule fino al suono dell’ultima campanella a giugno. Poi le riaperture a settembre, le prime chiusure a novembre – con didattica in presenza garantita solo per asili nido, scuole dell’infanzia, scuole primarie e prime medie, mentre le seconde e le terze medie insieme con le superiori erano in didattica a distanza (Dad) al 75 per cento – e, a seguire, chiusure e riaperture differenziate e un po’ a singhiozzo a seconda del “colore” delle regioni, stabilito in base ai dati dell’Istituto superiore di sanità sulla diffusione del contagio. Con le maggiori penalizzazioni rimaste a carico degli studenti delle scuole superiori. Guardando alla durata delle chiusure, l’Italia ha totalizzato 35 settimane: 13 di chiusura totale (tra marzo e agosto 2020) e 21 di chiusura parziale (due tra marzo e agosto 2020 e 19 tra settembre 2020 e marzo 2021). In Europa c’è chi – come Germania, Paesi Bassi e Regno Unito – ha fatto peggio, ma comunque il dato non è particolarmente consolante. Soprattutto perché, come è sempre bene ricordare, dietro a questi numeri ci sono le vite di tante persone: genitori, bambini, studenti, insegnanti, dirigenti, personale ausiliario. Tutte sottoposte a carichi enormi da più di un anno. Sul fronte dei dati qualitativi, sono state pubblicate un paio di indagini demoscopiche che offrono uno spaccato degli effetti sociali della pandemia sul mondo scuola. A realizzarle sono stati l’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i bambini – nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile – e l’Istituto Toniolo, con il supporto tecnico di Ipsos, per l’associazione Parole ostili.

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Luisa Pozzar

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