Il lavoro che fonda la Repubblica
Repubblica. Come scrissero i Padri costituenti, il lavoro è alla base dello Stato. E quando la disoccupazione aumenta, la democrazia entra in sofferenza. Ecco perché, per fare in modo che l’Italia possa davvero ripartire dopo la pandemia, occorre che ci sia un impiego dignitoso per tutti. Uomini e donne, italiani e stranieri.
Nel primo comma della nostra Costituzione è scritto che la Repubblica è fondata sul lavoro. I nostri Padri costituenti, 75 anni fa, potevano scrivere che la Repubblica è fondata sulla libertà – perché no? – o sull’eguaglianza, sulla giustizia, sulla verità, sulla solidarietà, invece scelsero il lavoro. Com’è noto, ci fu una forte azione da parte dei partiti di sinistra nel volere che la Repubblica fosse fondata sui lavoratori, ovvero su una precisa classe sociale, come a conferire una sorta di investitura politico-giuridica alla classe operaia, alla classe lavoratrice su cui questi partiti fondavano il loro consenso. La mediazione raggiunta con la Democrazia cristiana fu significativa e di grande apertura: fondare la Repubblica sul lavoro sottolineava il valore della classe lavoratrice e contemporaneamente apriva le porte a tutti coloro che avevano una attività, retribuita o non retribuita. Tutti possono lavorare: uomini e donne, credenti e non credenti, italiani e stranieri, votanti di destra e di sinistra. Il lavoro è di tutti, è un minimo comune denominatore: il lavoro unisce e occupa la maggior parte della nostra vita. Il lavoro è un ancoraggio preciso, solido, laico. Quest’anno il lavoro assume un valore speciale, perché la pandemia lo ha danneggiato in modo grave. L’Istat, in aprile, ha dichiarato che tra settembre 2020 e gennaio 2021 abbiamo perso oltre 400 mila occupati. In un anno – dal febbraio 2020 al febbraio 2021 – si registra quasi un milione di occupati in meno: 945 mila. Insomma, su circa 60 milioni di cittadini, si contano più di 22 milioni di occupati, circa due milioni e mezzo di disoccupati e circa 14 milioni di inattivi. Questi ultimi sono coloro che non sono né occupati né disoccupati, non lavorano e neppure cercano un lavoro, pur essendo in età lavorativa. Gli inattivi sono il segnale di un ristagno, di una speranza che viene meno, di uno scoraggiamento. Sul numero dei disoccupati grava il blocco dei licenziamenti: quando il Governo lo eliminerà, ossia quando le aziende potranno riprendere a licenziare, cosa succederà? Ovviamente aumenterà il numero dei disoccupati e degli inattivi. Il colore del futuro tende a scurirsi.
Il seguito sulla rivista
Roberto Rossini