La mafia ridà il maltolto

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di Antonio Dell’Anna

Case, terreni, aziende, patrimoni di ogni tipo tolti alle mafie. Un riscatto sociale che lo Stato offre a uomini e donne, famiglie, comunità a cui quei beni sono stati sottratti. Si colpiscono così le organizzazioni criminali e i boss, favorendo nel contempo lo sviluppo e l’economia dei territori. «Palestre di vita», li ha definiti papa Francesco, sottolineando l’importanza che «i beni confiscati alle mafie e riconvertiti a uso sociale rappresentano», perché «lottare contro le mafie significa anche bonificare, trasformare, costruire».
Sono trascorsi venticinque anni dalla legge 109 del 7 marzo 1996, che sanciva il riutilizzo pubblico e sociale dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose. La norma era stata presentata da alcuni deputati, tra cui l’ex magistrato del pool antimafia di Palermo, Giuseppe Di Lello Finuolo e l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed era stata sostenuta dall’associazione Libera di don Luigi Ciotti. Quest’ultima, nel 1995, il suo primo anno di vita, raccolse, infatti, un milione di firme (…)

il testo completo sul numero di marzo della rivista Madre.

Intanto è importante sapere che…

Alle leggi sui beni confiscati alle mafie si è arrivati dopo anni di lotte alla criminalità condotte da uomini e donne che hanno pagato a caro prezzo il loro impegno.
Si parte dal lontano 30 giugno 1963, la strage di Ciaculli (PA) con l’uccisione di sette uomini, quattro dell’Arma dei Carabinieri, due dell’Esercito italiano e uno del Corpo delle guardie di P.S., oggi Polizia di Stato. Il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di P.S. Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell’Esercito Pasquale Nuccio e il soldato Giorgio Ciacci. L’attentato, tra i più sanguinosi degli anni Sessanta, concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del dopoguerra, che vide anche le uccisioni di numerosi mafiosi. Ci sono voluti due anni per arrivare alle prime disposizioni contro la mafia con la legge del 31 maggio 1965, nr. 575 contro “gli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
Le mafie però non si sono fermate anzi hanno continuato a fare strage di uomini dello Stato, giornalisti e chiunque si trovasse sulla loro strada. Il 31 marzo 1980 il Segretario del Pci della regione Sicilia, Pio La Torre presenta una proposta di legge alla Camera dei deputati alla quale si aggiunsero le proposte di Virginio Rognoni e le collaborazioni di due magistrati italiani, all’epoca in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La Torre era molto impegnato contro la mafia siciliana e nel 1982 ottenne, assieme ad altri, la nomina del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Prefetto di Palermo. Il suo insediamento arrivò il 30 aprile dello stesso anno e nello stesso giorno in cui la mafia assassinò Pio La Torre. Dopo appena quattro mesi la stessa sorte toccò anche al Generale che in poco tempo aveva già delineato
l’organizzazione delle famiglie mafiose siciliane. Dieci giorni dopo, il 13 settembre, viene
approvata la legge nr. 646
, misure di contrasto e di prevenzione nei confronti della mafia in
Italia con il tanto temuto artico 416 bis. Per la prima volta si delinea la fattispecie del reato
dell’associazione di tipo mafioso, la confisca dei beni e la decadenza dei diritti di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, delle concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare. Si va avanti con questa legge per oltre venti anni e tante morti eccellenti, anche i giudici Falcone e Borsellino, fino alla legge nr. 109 del 7 marzo 1996. Tra i firmatari l’attuale Presidente della Repubblica, anch’egli impegnato nella lotta contro le mafie che proprio a lui avevano portato via il fratello Piersanti. Uomini politici ma anche di altra astrazione hanno aiutato l’Italia nella lotta contro le mafie. Alcuni di questi ancora oggi sono presenti e determinanti nella vita del nostro Paese. Uomini e donne che della loro vita hanno fatto una missione al servizio di tutti. Oggi molti Paesi nel mondo guardano all’Italia quale esempio
da seguire nella lotta contro le mafie. La nostra legislazione è presa come riferimento e Libera, attraverso anche la rete associativa, ha chiesto agli Stati che l’estensione della confisca e le esperienze di riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati potessero dare un contributo in questa direzione. Sette anni fa è stata approvata la Direttiva europea n. 42/2014 che prevede “gli Stati membri valutino se adottare misure che permettano di utilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico e sociale”. La VIII Conferenza degli Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, il 20 dicembre 2019, ha approvato una Risoluzione che fa esplicita menzione del riuso a fini sociali dei beni confiscati come modello che gli Stati Parte sono incoraggiati a prendere in considerazione. E nell’ottobre 2020, durante la Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, è stata approvata una Risoluzione per rafforzare il contrasto alla dimensione economica della criminalità, per la cooperazione ai fini della confisca e che fa esplicita menzione del riutilizzo sociale dei beni
confiscati. L’Italia in questo ha i suoi meriti.

Antonio Dell’Anna

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