Monsignor Tremolada ai giornalisti: “Che la comunicazioni sia un vero incontro tra le persone”
«Una comunicazione che trasmetta vicinanza, che faccia respirare, che mostri piuttosto il bicchiere mezzo pieno e non sempre e solo il bicchiere mezzo vuoto, che faccia leva sugli aspetti positivi sempre presenti anche in una situazione complessa e problematica. (…) Se il tempo è quello della prova, occorre fornire ragioni per affrontarla con dignità e sostenerla con determinazione. I giornali e i media siano dalla parte di chi è chiamato a combattere». Questo il messaggio che monsignor Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia, ha affidato ai giornalisti nel tradizionale incontro con la categoria, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
La ricorrenza è stata celebrata, quest’anno, il 25 febbraio, giorno della conversione di San Paolo. Il vescovo è partito proprio da questo evento fondamentale che ha «segnato la vita di san Paolo ma anche la storia del cristianesimo». La conversione di Saulo è, per monsignor Tremolada, anche simbolica: «divenuto ormai apostolo di Cristo, egli riconoscerà che era pressoché schiavo di una visione della realtà non corrispondente al vero, condizionato da convincimenti maturati senza l’impegno onesto di entrare nella situazione e di comprenderla nella sua verità». Una considerazione che, secondo il vescovo, è in linea «con il messaggio che papa Francesco ha consegnato ai giornalisti per la Giornata delle comunicazioni sociali 2021. Il titolo: “Venite e vedete!”, e il sottotitolo “Comunicare incontrando le persone come e dove sono”, fanno ben capire qual è il punto che sta a cuore al Papa», spiega. «E il punto è questo: che la comunicazione sia un vero incontro con le persone, sia cioè una lettura della realtà compiuta con gli occhi di chi sa condividere e non si limita ad analizzare dall’esterno».
Una comunicazione che, secondo monsignor Tremolada non deve essere «distaccata, non per sentito dire, non confezionata dietro le scrivanie, non tesa a suscitare scalpore, non condizionata dalla prospettiva dei più fortunati e quindi incapace o comunque non interessata a dare voce al diritto dei meno fortunati. Una comunicazione calda, partecipata, intensa, ricca di umanità. Credo si possa dire che c’è una forma giornalistica della solidarietà, un modo di farsi carico di ciò che la gente vive, particolarmente in questo momento, attraverso le pagine dei giornali e le trasmissioni radiotelevisive».
Oggi, continua il vescovo, proprio perché siamo disorientati e stanchi «abbiamo bisogno di una comunicazione che ci aiuti a resistere, che faccia chiarezza, per quanto è possibile, o comunque che non esasperi il senso di smarrimento e non incrementi la confusione. Una comunicazione pacata e seria, che vada in profondità, che si prenda il tempo per capire, che offra elementi interpretativi ponderati, che ci aiuti a fare il quadro della situazione tenendo conto dei diversi elementi. Credo non sia giusto, soprattutto in questo momento, indulgere sugli aspetti che esasperano le tensioni, che contrappongono i pareri, che evidenziano le divergenze. Sentiamo il bisogno di vedere sottolineati piuttosto la ricerca comune, lo sforzo condiviso, il coraggio e la generosità nell’affrontare le sfide».