Lo Stato siamo noi

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Nonostante il prezzo da pagare possa essere alto, il nostro dovere di cittadini è quello di denunciare violenze e abusi. Solo così potremo costruire una società più libera e più giusta. Come insegnano le storie di Marianna e di Pietro.

«Quando tocca a te tocca a te. Non puoi girarti dall’altra parte. Non saresti più una persona libera. Anche se la tua vita cambia completamente non puoi non denunciare. Ho fatto così 30 anni fa e lo rifarei ancora oggi». Pietro Ivano Nava non è più lo stesso da quando, il 21 settembre 1990, transitando con la sua auto, gli capitò di vedere per caso la scena dell’assassinio del giudice Rosario Livatino. La sua testimonianza consentì di arrestare i killer (tuttora in carcere) e di arrivare ai mandanti. Lui, però, ha dovuto cambiare nome, attività, non ha più rivisto familiari e amici. Ma, tornando indietro, si comporterebbe di nuovo nello stesso modo: «Se tutti facessimo così la mafia sparirebbe in un giorno». Le organizzazioni criminali mostrano la loro forza perché, talvolta, lo Stato è assente. Ma anche perché tutti noi siamo troppo impegnati a guardare da un’altra parte mentre le mafie ci tolgono la nostra libertà. Lasciamo che siano in pochi a fare la fatica che, se la facessimo tutti insieme, sarebbe più sopportabile. I testimoni di giustizia, diversi dai pentiti, difendono i diritti di tutti noi, combattono gli abusi, i soprusi, le delinquenze e i crimini, consapevoli di dover essere i primi a pagarne le conseguenze. Scelgono la solitudine, le difficoltà di vivere in segreto, accettando, a volte, le inefficienze delle istituzioni.

Il seguito sulla rivista

Antonio Dell’Anna

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