L’Italia irrisolta del dopo referendum

Il 70 per cento dei cittadini che si sono recati alle urne lo scorso settembre ha votato per il taglio dei parlamentari. Ma ora urge affrontare una serie di questioni che tengono in scacco il nostro Paese.

Il referendum costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari di un terzo è stato approvato dai cittadini con il 70 per cento di sì. Si può discettare su questa percentuale, vedere cosa c’è dietro, ma sicuramente non sono tutti grillini quelli che hanno votato per il taglio. E adesso? Adesso non ci si può fermare perché è vero che c’è il covid, che la crisi economica “morde” e ci sono tante questioni urgenti, ma anche la democrazia ha bisogno di funzionare. E, quindi, se i parlamentari passano da 900 a 600 (400 alla Camera e 200 al Senato) quanto meno bisogna ridefinire i collegi elettorali e cambiare alcune regole di funzionamento delle Camere. Non basta nemmeno questo, però, e numerose sono le criticità da affrontare. La prima, ed è un tema annoso, riguarda la legge elettorale. Che si può cambiare a maggioranza semplice e non è una riforma istituzionale, ma a essa è collegata. Negli anni, e questo è un problema, le maggioranze di turno che temevano di perdere le successive elezioni l’hanno cambiata troppe volte – abbiamo avuto addirittura il Porcellum, con tanto di rivendicazione da parte dell’ideatore, il leghista Roberto Calderoli, che definì la legge «una porcata» – e ogni volta in peggio, col risultato che oggi ci ritroviamo una legge elettorale nella quale a decidere la gran parte degli eletti sono in realtà le segreterie dei partiti e non i cittadini.

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Thomas Bendinelli

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