Occupazione anno zero

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La sfida dei prossimi anni si chiama lavoro. Il Recovery fund, il piano europeo da 750 miliardi, di cui 209 solo per l’Italia, prova a disegnare il futuro del continente. Non solo per rispondere alla crisi innescata dal coronavirus, ma anche per avere società più sostenibili. Per il nostro Paese, uno dei grandi malati d’Occidente, sarà una sfida nella sfida, per far fronte alla quale serviranno consapevolezza e responsabilità.

Nel 2020, nella migliore delle ipotesi, il Pil italiano crollerà del 10 per cento. E, se tutto andrà bene, si ritornerà ai livelli di benessere del 2019 solo nel 2022, più probabile nel 2023. Se tutto andrà bene, appunto, ma con un disastro in mezzo in termini di occupazione, crescita della povertà, difficoltà per milioni di famiglie italiane. Dieci punti in meno sono una scossa che nemmeno nella crisi del 2008 e negli affanni degli anni successivi avevamo visto. Come Paese ci abbiamo messo anni a rimetterci in carreggiata e oggi siamo di nuovo con l’acqua alla gola. È un po’ l’ultima fermata e bisogna essere attenti e oculati. Da vent’anni ci trasciniamo, con livelli di crescita inferiori alla media europea, e andiamo verso un progressivo declino. Abbiamo snellito poco la burocrazia, e non per caso scivoliamo in basso, anno dopo anno, nelle classifiche internazionali sulla facilità del fare impresa. Abbiamo una pubblica amministrazione poco efficiente, abbiamo sacche di lavoro nero enormi rispetto a quanto dovrebbe essere in un Paese “normale”. Per non farci mancare nulla, abbiamo anche un livello di tassazione mostruoso, che azzanna i ceti medi e produttivi da una parte e “coccola” gli evasori dall’altra. Tredici anni fa in molti derisero l’allora ministro Tommaso Padoa-Schioppa quando disse che le tasse sono bellissime, «un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili, quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute».

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Thomas Bendinelli

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