I disabili dimenticati

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Sono più di tre milioni le persone con disabilità che, durante la pandemia, sono diventate invisibili. Mentre le loro famiglie si sono trovate a gestire la quotidianità in totale solitudine.

La fase 2 è ormai avviata e le attività sono riprese dopo il lockdown imposto dall’emergenza sanitaria da covid-19. Ma le persone con disabilità, i caregiver familiari e le realtà del terzo settore che se ne prendono cura sembrano rimanere inspiegabilmente invisibili. Eppure non si tratta di una realtà marginale nel nostro Paese: secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2017), parliamo di circa tre milioni e 100 mila persone (5,2 per cento della popolazione), «che», secondo l’istituto, «a causa di problemi di salute, soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali». La regione a più alta incidenza è l’Umbria (8,7 per cento), seguita dalla Sardegna (7,3 per cento). Dati decisamente più bassi al Nord. Per capire cosa è successo, torniamo a quel 10 marzo, data di avvio del lockdown in tutta Italia. Tra le realtà soggette a chiusura anche i centri diurni per le persone disabili, senza dimenticare il blocco di tutte le attività di assistenza a domicilio e delle visite di controllo in ospedale. Risultato: milioni di famiglie si sono trovate a dover gestire la quotidianità dei propri familiari disabili in totale solitudine, con problemi che molti di noi faticano anche soltanto a immaginare. Servizi bloccati e nessuna semplificazione sulla burocrazia, i primi aspetti che saltano agli occhi. Nessun contatto da parte dei distretti sanitari per verificare l’eventuale bisogno di mascherine e disinfettanti. E così, quel mondo prezioso che, con amore, si prende cura di chi è più fragile anche stavolta si è dovuto rimboccare le maniche.

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Luisa Pozzar

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