«Noi ucraini non abbiamo paura»
Lo racconta Krystyna Makar, membro della Caritas Ucraina, nel libro Cristo sulla linea del fronte, scritto da Giulia Cerqueti. Un volume che narra storie di resilienza e speranza. Di fede anche sotto le bombe.
«I soldati combattono sulla linea del fronte. I docenti universitari hanno deciso di lottare con le armi della cultura». Olga Sharahina ha le idee chiare su cosa significano per lei il patriottismo e la difesa del suo Paese, l’Ucraina. Insegna Lingua e letteratura ucraina alla scuola media e Lingua ucraina al dipartimento di Filologia e giornalismo della V.I. Vernadsky Taurida National University a Kyiv. Un ateneo in esilio, spiega, che era sorto a Simferopoli, in Crimea. Quando nel 2014 la penisola sul Mar Nero è stata occupata e annessa alla Federazione russa, l’università ha deciso di spostare la sua sede nella capitale ucraina. E i professori che non hanno accettato l’annessione a Mosca sono scappati per andare a insegnare nella nuova struttura. La docente lo racconta nel libro Cristo sulla linea del fronte. Storie e volti della fede in Ucraina tra resilienza e speranza (San Paolo, pp. 189, 18 euro), scritto dalla giornalista Giulia Cerqueti (vedi box a pagina 41). In questo volume, l’autrice ha raccolto le testimonianze di tante persone, laiche e religiose, legate dal filo conduttore della fede vissuta al tempo del conflitto.
Persone come Olga, che rilegge lo scontro dal punto di vista della politica linguistica, della dialettica fra lingua ucraina e lingua russa. Quando l’università si è trasferita, la scelta linguistica è diventata uno strumento di protesta e opposizione politica. «Fino al 2014 i docenti in università parlavano regolarmente russo», spiega la donna nel libro, «la lingua comunemente in uso. Una volta arrivati a Kyiv hanno volontariamente rinunciato alla lingua russa per passare a quella ucraina. Parlare ucraino era una forma di chiara, netta opposizione all’annessione russa: dopo il 2014 gli studenti inscenavano delle proteste quando un professore si esprimeva in russo». Con il conflitto, parlare ucraino è diventato un modo per affermare l’identità nazionale. Una scelta che, per tanti, ha significato apprendere un idioma da zero, perché buona parte degli ucraini nelle regioni dell’Est parlano correntemente la lingua russa, nella vita di tutti i giorni.
Con la legge del 2019, entrata in vigore nel 2020, l’ucraino è diventato lingua di uso esclusivo in tutti i settori della sfera pubblica. Ma in ambito familiare, nella vita personale, i russofoni hanno continuato a esprimersi in russo.
Olga è sposata e ha tre figli. Con la famiglia ha sempre frequentato la Casa salesiana e centro giovanile Maria Ausiliatrice alla periferia di Kyiv, che fino a dicembre del 2022 era diretto da don Maksym Ryabukha, oggi vescovo ausiliare dell’Esarcato arcivescovile greco-cattolico di Donetsk. Quando è iniziata la guerra, alcune famiglie della Casa salesiana, inclusa quella di Olga, hanno cominciato a incontrarsi online, la sera, per momenti di preghiera comune. Suo marito, Denys, è ufficiale dell’esercito. Poco dopo l’inizio del conflitto, lei e i loro figli si sono trasferiti in Italia, a Formia, in provincia di Latina, dove vive e lavora sua madre. Olga ricorda con immensa gratitudine l’accoglienza ricevuta nel nostro Paese.
Il seguito sulla rivista.
di Agata Stopponi