Obiettivo lavoro

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Spesso l’impiego non c’è e, quando c’è, non è sufficiente per vivere. È perciò tempo di risolvere annosi problemi, come salario minimo, gender gap, stipendi non adeguati all’inflazione. Solo così si potrà riportare la dignità negli uffici, nei campi, nelle fabbriche, contrastando davvero la povertà.

«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». È questo l’incipit della nostra Costituzione. Ma tra inflazione galoppante, precariato, lavoro nero, disoccupazione, gender gap, morti bianche, buste paga ridotte all’osso, la Carta fondamentale sembra tradita, mentre il lavoro è sempre più lavoro povero. Basta dare un’occhiata ai numeri per rendersene conto. Le retribuzioni medie italiane sono cresciute solo del 2,2 per cento (il dato più basso d’Europa) nei primi tre mesi del 2023, l’inflazione media tra gennaio e luglio di quest’anno ha toccato il 7,6 per cento, il caro-vita ha eroso il potere d’acquisto di 5,4 punti, oltre sette milioni di lavoratori sono in attesa del rinnovo dei contratti, al Sud meno di una donna su tre lavora. Ci sono oltre cinque milioni e mezzo di italiani in condizioni di povertà assoluta.
Il problema è che spesso il lavoro non c’è e, quando c’è, in molti casi non permette di vivere dignitosamente. Ecco che allora la prima frase della legge basilare dello Stato andrebbe aggiornata, aggiungendo al sostantivo «lavoro» l’aggettivo «dignitoso». Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante le celebrazioni della Festa del lavoro: «Il primo maggio è la festa della dignità del lavoro. È la festa della Repubblica fondata sul lavoro». Il capo dello Stato ha citato nel suo discorso anche le parole di Giorgio La Pira, giurista, tre volte sindaco di Firenze e deputato della Democrazia cristiana alla Costituente, che affermava che «lo Stato moderno ha come primo compito quello di non creare disoccupazione e miseria». Infine, Mattarella ha fatto appello all’articolo 36 della Carta costituzionale, dedicato all’equo compenso: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». La Dichiarazione universale dei diritti umani ribadisce: «Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione».
E la realtà? In Italia gli stipendi sono fermi da anni, scontrandosi con un caro vita (dalle bollette al carrello della spesa, dai trasporti al tempo libero) che li rende inadeguati per molte famiglie. Il salario medio nel nostro Paese (rapporto Istat 2023) si aggira tra i 22.500 e i 28.500 euro lordi annui (tradotto significa una media di retribuzione mensile tra i 1.250 e i 1.700 euro). Ma come va nel resto d’Europa? In Danimarca la retribuzione annua lorda media è intorno ai 60 mila euro, in Francia 41 mila, in Germania 45 mila. La Spagna è al nostro livello con 27.500 euro. Peggio di noi la Grecia con 16 mila euro.

Il seguito sulla rivista.

di Cristina Colli

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