Iconica Barbie
Margot Robbie è produttrice e mattatrice assoluta di questo film dedicato alla bambola più venduta al mondo. Un omaggio per i sessant’anni di un giocattolo cult.
Film su un fenomeno piuttosto che un fenomeno di film. Nel senso che Barbie, la pellicola top dell’estate della regista Greta Gerwig (sua l’ultima versione di Piccole donne con Emma Watson, Saoirse Ronan e Timothée Chalamet), sarà pure un blockbuster, ossia un prodotto da grande pubblico e di successo al botteghino, ma rappresenta di fatto una sfida e un’operazione, a suo modo, culturale. Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe pensato di girare un film su una bambola, per quanto icona delle fantasie ludiche di svariate generazioni di bambine, come se si trattasse di un supereroe dei fumetti. Se l’ardito progetto è oggi realtà è solo per la perseveranza proprio della Gerwig e della sua amica Margot Robbie, attrice sempre più sulla cresta dell’onda (The wolf of Wall Street di Martin Scorsese, Tonya sulla tormentata pattinatrice Tonya Harding, Una donna promettente, C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino), ma anche produttrice dal gran fiuto (Harley Quinn: Birds of prey e il sequel The Suicide Squad, in cui ha incarnato l’eroina a fumetti della Dc Comics).
Una produzione in gran parte femminile e, strano a dirsi, femminista che si è avvalsa di significativi contributi maschili: la penna dello sceneggiatore Noah Baumbach e il volto di Ryan Gosling, chiamato a impersonare Ken, eterno e subordinato fidanzato della protagonista.
Mattatrice assoluta dei cento minuti di film è, però, lei, Barbie, ossia Robbie, sbalzata dal mondo rosa che è il suo universo di riferimento nell’umana quotidianità. «A essere sincera, da bambina non ero una fanatica di Barbie. Non credo di averne mai posseduta una», racconta l’attrice australiana, 33 anni appena compiuti, che col marito Tom Ackerley e con l’amica d’infanzia Josey McNamara è titolare della società di produzione Lucky Cap che ha realizzato il film. «Mia cugina, però, ne aveva un mucchio e infatti andavo sempre a casa sua a giocare. Questo per spiegare che non ho mai sognato di essere Barbie, né di interpretarla sullo schermo, almeno fino a quando non ho iniziato a lavorare sul progetto. Ho visto subito l’enorme potenziale perché, a livello globale, non c’è parola più conosciuta di Barbie, eccezion fatta, naturalmente, per Coca-Cola. Greta ha accettato di correre il rischio con me: all’epoca era un soggetto che faceva paura… Abbiamo pensato, ovviamente, di rendere omaggio alla storia sessantennale di questa bambola iconica. Ma abbiamo voluto anche prendere atto che ci sono tante persone che non sono fan di Barbie. Anzi, molti la odiano avendola bollata fin dagli anni Ottanta come feticcio consumistico».
Il seguito sulla rivista.
di Maurizio Turrioni