Perugino «divin pittore»

In occasione del cinquecentenario della sua morte, una mostra a Perugia celebra il maestro del Rinascimento con la più
completa e prestigiosa rassegna mai realizzata.

Mentre continuano in molti musei internazionali le spettacolari mostre dedicate al quinto centenario della morte di Raffaello (1520), sono iniziate celebrazioni di altissimo profilo per onorare il suo maestro: il più grande e raffinato artista umbro del Quattrocento, il Perugino (1448-1523), che, «inventando la straordinaria armonia di un’arte nuova», sfidò per primo la dominante pittura delle botteghe fiorentine del Verrocchio, di Botticelli e del Ghirlandaio.
Fu proprio il padre di Raffaello, il pittore Giovanni Santi, a decidere di mandare suo figlio a scuola da Pietro di Cristoforo Vannucci, detto dai fiorentini il Perugino. Era già un maestro d’arte famoso, seppure tra giudizi contrastanti. «Pittore divino e maestro del nostro Rinascimento», lo definiva nel 1500 Agostino Chigi, illustre imprenditore e banchiere, mentre lo studioso Giorgio Vasari lo criticava perché «straniero», ossia non fiorentino, e anche «privo di religione: un ostinato cervello di porfido che nega l’immortalità dell’anima». Ma Vasari stesso riconobbe poi il suo evidente genio di pittore e si dichiarò commosso «oltre misura» davanti al Compianto del Cristo Morto, oggi alla Galleria Palatina di Firenze. «La sua pittura», ha scritto Vasari, «tanto piacque al suo tempo che vennero molti di Francia, di Spagna, d’Alemagna e d’altre province per impararla, innanzi che venisse la maniera di Michelangelo». Il Perugino, artista raffinato, seppe fondere in una straordinaria armonia le migliori prerogative della pittura dell’Italia centrale nella seconda metà del Quattrocento. Erano gli anni non solo di Raffaello, ma anche dei geni più noti del Rinascimento, di Michelangelo e di Leonardo. Il Perugino rimase, così, sottovalutato per secoli e riscoperto da critici e pubblico solo alla metà dell’Ottocento.

Il seguito sulla rivista.

di Tina Lepri

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