Lavoro è dignità

Attraverso l’impiego, qualunque sia e ovunque sia, ciascuno esprime sé stesso e offre il proprio contributo alla società. Ma la qualità di vita dei lavoratori deve essere sempre salvaguardata. Così come un compenso equo e decoroso, contro ogni forma di sfruttamento.

Anna ha 32 anni, è pugliese e ha studiato comunicazione. Di recente ha effettuato un colloquio di lavoro, al termine del quale si è vista offrire un incarico a partita Iva, con obbligo di presenza in ufficio, in una città del Nord, per 900 euro al mese, cifra che basta a malapena per pagarsi una stanza in cui alloggiare. Domenico di anni ne ha 40, è un insegnante precario e ogni settembre si mette in attesa di una supplenza, nella speranza di non finire troppo lontano da casa e poter, quindi, risparmiare sull’affitto. Maria, madre single sudamericana, faceva la badante, ma durante la pandemia ha dovuto abbandonare il lavoro per occuparsi di sua figlia in Dad a casa. Ora si arrangia come può, facendo le pulizie. Ahmed, egiziano, fa il pizzaiolo, ma è l’unico in famiglia a lavorare. Ha quattro bambini, tutti di età inferiore ai dieci anni, e tra affitto, bollette e spese varie deve calcolare anche il centesimo. E poi c’è il signor Antonio, che ha 81 anni, vive solo, e prende 600 euro di pensione al mese («Ho cominciato a lavorare a 13 anni, facevo il muratore, solo che nessuno mi metteva le marche – allora si chiamavano così – e ora sono qui», racconta). Le loro non sono storie che finiscono sui giornali, perché Anna, Domenico, Maria, Ahmed, Antonio hanno anche altri nomi, altre città d’origine, altri lavori. Nei campi (dove i braccianti, perlopiù stranieri, sono pagati 5 euro al giorno per 12 ore sotto il sole), in fabbrica (spesso senza le basilari misure di sicurezza), negli uffici, nelle palestre o perfino per strada (il film Sorry, we missed you di Ken Loach lo racconta bene). Lavoratori tutti diversi, ma con un unico comune denominatore: sono i nuovi poveri. 
«Secondo uno studio della Fondazione Di Vittorio, la retribuzione media italiana è di 29 mila euro lordi all’anno contro i 37,4 mila di tutta l’Eurozona», conferma Cristina Morini, responsabile delle attività di ricerca dell’associazione Basic income network Italia (Bin) e autrice di Vite lavorate. Corpi, valore, resistenze al disamore (Manifestolibri, pp. 211, € 16). «E parliamo solo di lavoro dipendente. Nel lavoro non standard le cifre sono diverse, qui le basse retribuzioni sono quasi la norma». 
Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel 2021 erano in condizione di povertà assoluta circa 5,6 milioni di persone, una cifra triplicata rispetto al 2005, che nel 2022, con l’inflazione in ascesa, non potrà che aumentare, coinvolgendo anche molti di quegli 11 milioni di persone che sono attualmente a elevato rischio di povertà (cioè hanno un reddito inferiore al 60 per cento di quello medio disponibile). 

Il seguito sulla rivista.

di Annalisa Misceo

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