Il lavoro (giusto) che non c’è
(in anteprima l’editoriale del numero di ottobre)
«Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». È chiaro l’articolo 36 della Costituzione (che speriamo nessuna maggioranza di Governo voglia mai cambiare). La nostra Repubblica non solo è fondata sul lavoro, come recita l’articolo 1, ma rivendica una remunerazione che sia in grado di soddisfare i bisogni di cittadine e cittadini.
L’esatto contrario di quel che sta accadendo oggi. Sempre più lavoratori non riescono ad arrivare a fine mese, abbiamo gli stipendi tra i più bassi d’Europa, i giovani vanno all’estero a cercare fortuna e si moltiplicano le imprese che, pur continuando a guadagnare fior di profitti, piangono miseria e tagliano ancora di più il costo del lavoro, cioè le buste paga.
Abbiamo avuto un’estate con fatturati milionari. Eppure i ragazzi che hanno servito nei bar e nei ristoranti sono stati, spesso, pagati pochissimo, molte volte in nero. Abbiamo visto parchi gioco anche famosi distribuire dividendi prestigiosi e chiudere prima pur di non pagare mille euro agli inservienti. Abbiamo letto di aziende che hanno mandato in cassa integrazione i lavoratori mentre i manager esibivano jet privati e cene extralusso. Ovunque – dagli ospedali agli uffici pubblici ai giornali – i comparti sono sotto organico. E allora non c’è bisogno di cercare posti di lavoro. Ma di retribuire quei posti in modo equo. Di ristabilire diritti e tutele, di un nuovo welfare sociale e di nuove politiche del lavoro che non allarghino la forbice tra ricchi e e poveri.
Finita la campagna elettorale, bisognerebbe fare gli interessi degli italiani (tutti) e del Paese. Bisognerebbe attuare la Costituzione e perseguire quella giustizia senza la quale il futuro dell’Italia non potrà che essere buio.