A rischio pandemia climatica
Per lo scienziato Filippo Giorgi, premio Nobel per la pace nel 2007, mitigare e gestire il cambiamento del clima è la chiave per preservare il pianeta e noi stessi. Di questo si parlerà anche durante il vertice dell’Onu in corso a Glasgow.
Se sostenibilità è la parola chiave dei 17 obiettivi di sviluppo fissati dall’Onu per il 2030, il contrasto al cambiamento climatico è ciò che li sottende perché ha direttamente a che fare con la povertà, l’alimentazione, la salute, le disuguaglianze, la pace e anche la crescita economica. Gli obiettivi sono stati pensati «per ottenere un futuro migliore per tutti» e la stessa finalità si pongono le Conferenze delle parti (Cop), vertici globali sul clima che da tre decenni chiamano a raccolta quasi tutti i Paesi della Terra. Durante i primi dodici giorni di novembre, 190 leader mondiali si sono ritrovati a Glasgow per il 26° vertice (Cop 26), da molti considerato straordinario e urgente data la gravità della situazione.
«Il sistema climatico è uno dei più complessi e interconnessi che la nostra scienza studia, perché vi sono numerosi componenti diversi che interagiscono tra loro, ma si può dire con certezza che gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da anomalie straordinarie», racconta Filippo Giorgi, uno dei più noti esperti di cambiamento climatico al mondo, responsabile della sezione di Fisica della Terra al Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam di Trieste. «Il 2020, insieme al 2016, è stato l’anno globalmente più caldo e ha registrato la stagione di uragani più attiva nell’Atlantico da quando si rilevano i dati. Il 2019 è stato caratterizzato dall’eccezionale ondata di calore nel Nord Europa, dagli incendi in Australia, dalla seconda peggiore acqua alta della storia di Venezia, dal collasso del ghiacciaio del Monte Bianco, mentre la fine del 2018 è stata segnata dalla tempesta Vaia, che ha devastato le foreste delle Alpi e delle Dolomiti. Il numero di eventi meteorologici e climatici catastrofici sta aumentando rapidamente. Di solito ne avvengono quattro o cinque ogni 10 mila anni, ma negli ultimi vent’anni ne sono stati registrati due o tre. Sono segnali inequivocabili del riscaldamento globale».
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di Marta Perrini