L’Italia che riparte
Dall’ambiente all’economia, dal lavoro alla salute, fino al terzo settore, il Piano nazionale di ripresa e resilienza è un’occasione straordinaria per costruire un Paese più moderno e inclusivo, capace di guardare al futuro.
Una sfida da progettare, pianificare, attuare, monitorare per fare in modo che il nostro Paese, messo in gran parte in ginocchio dal virus, possa ripartire. È il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), un documento predisposto dal governo italiano per gestire i soldi che arriveranno dal Next generation Eu, più noto come Recovery fund o Recovery plan, ovvero il fondo che l’Unione europea ha messo a disposizione per sostenere l’economia, la società, il welfare a seguito degli effetti negativi causati dalla pandemia. La cifra stanziata ammonta a poco meno di duemila miliardi di euro, costituiti in parte da prestiti, in parte da soldi “a fondo perduto”. In Italia arriveranno poco più di 200 miliardi, ossia la quota più elevata rispetto a tutti gli altri Paesi dell’Unione. L’impatto sulla nostra economia sarà notevole: questo (socialmente) significa posti di lavoro e minore povertà. Insomma, stiamo parlando di una cosa molto seria che, se sarà sfruttata bene, farà decisamente cambiare la nostra penisola. L’obiettivo è rendere l’Italia un Paese più moderno, più inclusivo, più salubre.
Dal digitale alla salute
Le sei aree di intervento sono: transizione verde (ambiente), transizione digitale (intelligenza artificiale), crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (economia e welfare), coesione sociale e territoriale (omogeneità di sviluppo su tutto il territorio italiano), salute e resilienza economica, sociale e istituzionale e, infine, politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani. Il tutto – scusate se faccio un altro elenco, ma poi abbiamo finito – si traduce in sei missioni, che sono le sei grandi aree sulle quali si lavorerà. Eccole: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; coesione e inclusione; salute. Se osserviamo bene queste aree ci rendiamo conto che “terminati i lavori” il Paese sarà davvero diverso. Più di un quarto dei fondi saranno investiti sulla transizione ecologica, poco meno è previsto per la trasformazione digitale e per istruzione e ricerca. A seguire ci sono infrastrutture e mobilità, inclusione e coesione, salute.
Il resto sulla rivista.
di Roberto Rossini