Sul ponte sventola bandiera bianca

Franco Battiato se n’è andato il 18 maggio scorso. Vogliamo ricordarlo per la sua musica sperimentale e sublime, per il suo essere artista a 360 gradi, alfiere di una ricerca spirituale intensa e autentica.

«Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore / dalle ossessioni delle tue manie / Supererò le correnti gravitazionali / lo spazio e la luce per non farti invecchiare / E guarirai da tutte le malattie / perché sei un essere speciale / Ed io, avrò cura di te». Quando nel 1996 il filosofo siciliano Manlio Sgalambro, sconosciuto ai più, metteva la firma come autore del testo a La cura, capolavoro musicale di Franco Battiato, che ci ha lasciato lo scorso 18 maggio, nessuno poteva immaginare quello che poi sarebbe successo. E cioè che l’artista, il musicista, il pittore, il regista, il poeta e l’esperto di pratiche ascetiche Battiato, con una sola canzone, riuscisse a unire le generazioni, padri e figli, nonni e nipoti. Quest’ultima è l’esempio mirabile dell’arte che oltrepassa la storia e il tempo, «lo spazio e la luce», perché parla a tutti. Eppure Battiato già era molto conosciuto, soprattutto dalla generazione che oggi ha tra i 50 e i 60 anni. Ci ha lasciato perle infinite. Tutte orecchiabilissime e canticchiabili sotto la doccia, ma cariche di un effetto dirompente, dissacratorio e ironico allo stesso tempo. Centro di gravità permanente, Voglio vederti danzare e quel capolavoro di impegno civile che è Povera patria, tanto per citarne qualcuna. Una dimestichezza con la musica pop, nel senso più alto del termine, che si era forgiata negli anni giovanili. Perché Battiato, nei mitici anni Settanta, fu l’alfiere della musica elettronica con Fetus e Pollution, protagonista di spettacoli al limite dell’ascolto, dove il pubblico andava via perché lui sapeva osare, musicalmente parlando, il non osabile.

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Gianni Di Santo

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