L’Italia che vince e il posto dei secondi
Il gesto dei giocatori inglesi, agli europei, che si tolgono dal collo, alcuni con stizza, la medaglia del secondo posto (mentre pochi, per fortuna, la baciano) è molto più di un atto antisportivo. Ci rimanda all’incapacità di accettare le sconfitte, di misurarsi con i propri limiti, di accettare che l’altro, almeno per una volta, sia migliore di noi.
Matteo Berrettini, nello stesso giorno della finale di calcio, in cui lui è arrivato secondo nel torneo di Wimbledon, ci manda, invece, un altro messaggio: che arrivare secondi vuol dire, comunque, essere lanciati verso la meta, aver disputato un ottimo torneo, aver superato avversari temibili ed essersela giocata fino alla fine. Con il rammarico di non aver vinto, ma anche con la consapevolezza di poter tornare a battersi. Magari, questa volta, vincendo. O forse no.
Nello sport come nella vita accettare di essere secondi vuol dire anche aver fatto pace con se stessi, aver maturato una visione del mondo e delle relazioni dove conta aver dato il meglio, non essere per forza sul podio più alto. «Divertitevi», era stato l’incoraggiamento ai nostri calciatori di Roberto Mancini, il ct azzurro che ci ha portati alla vittoria. E avremmo vinto anche se avessimo perso. Vinto sul piano del gioco, di un calcio che torna a unire un Paese e a riproporsi non solo come sport multimiliardiario, ma come occasione di sogno.
I secondi – che siano le medaglie d’argento dello sport, i secondi figli, le seconde mogli, i secondi piloti, i vice di qualcuno, il braccio destro di chi comanda – non sono per forza i perdenti. Anzi. A patto che siano coscienti del proprio ruolo e del proprio valore. Del loro posto nel mondo e nella società. Nelle famiglie. Sui posti di lavoro. Per non tramutarsi in “odiatori” eternamente insoddisfatti. Pronti, metaforicamente, a togliersi dal collo, con rabbia, la loro medaglia imprecando perché qualcun altro ricopre il posto che avrebbero voluto, meritatamente o meno, avere loro.
E non stupisce se anche papa Francesco abbia commentato la vittoria italiana e il comportamento degli inglesi soffermandosi «sul significato dello sport e dei suoi valori e su quella capacità sportiva di saper accettare qualsiasi risultato, anche la sconfitta. Solo così , davanti alle difficoltà della vita», ha detto il Pontefice, «ci si può mettere in gioco, lottando senza arrendersi, con speranza e fiducia».