Libertà negate

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Nonostante i recenti passi avanti, in Arabia saudita le donne sono ancora soggiogate all’autorità maschile. Una situazione intollerabile, contro la quale alcune attiviste continuano a far sentire la loro voce. 

Mille giorni di carcere, segnati da torture e violenze sessuali. Il martirio dietro le sbarre di Loujain Al-Hathloul, una delle più famose attiviste saudite, è finito quando la ragazza è stata scarcerata, ma in libertà vigilata. La sua colpa: lottare per affermare il diritto delle donne a guidare un’auto. Arrestata nel 2018, a dicembre del 2020 Loujain è stata condannata a cinque anni e otto mesi con l’accusa di cospirazione contro la monarchia e spionaggio. Lo scorso marzo una corte saudita ha confermato la condanna: per lei ancora tre anni da scontare in libertà condizionata e il divieto di viaggiare all’estero fino al 2026. Solo poche settimane dopo il suo arresto, l’Arabia ha preso la decisione di revocare il divieto di guida per le donne. Una svolta storica per la rigida e conservatrice monarchia saudita, parte del programma Saudi Vision 2030, un piano di riforme in vari ambiti promosso dal principe ereditario Mohammed bin Salman al Sa’ud con l’obiettivo di modernizzare il Paese e di favorire uno sviluppo economico diversificato, non più fondato esclusivamente sui pozzi di petrolio, puntando su nuove risorse come il turismo internazionale. Alcune riforme riguardano il mondo femminile. Oggi le saudite possono ottenere il passaporto e viaggiare all’estero autonomamente. Dal 2019 possono entrare a far parte dell’esercito, anche se con limitazioni per quanto riguarda la carriera e le funzioni.

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Giulia Cerqueti

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