Fu vera gloria?

Il 5 maggio 1821, Napoleone esalò «il mortal sospiro», con l’intento di sopravvivere nella Storia. Nonostante ambiguità e contraddizioni, ci è riuscito: la sua stella, dopo duecento anni, brilla ancora.

«E i fu». Era il 5 maggio 1821, quando Napoleone Bonaparte esalò «il mortal sospiro» nell’isola britannica di Sant’Elena. Era qui in esilio, sotto la stretta sorveglianza degli inglesi che, con i prussiani, lo avevano sconfitto a Waterloo sei anni prima, ma non si era ancora arreso: «Sostituirò la spada con la penna», aveva scritto all’amata ex moglie Giuseppina Beauharnais. E nel mezzo dell’Atlantico tenne fede a quella promessa, utilizzando carta e inchiostro per suggellare la sua leggenda. Lo aiutò Emmanuel de Las Cases, che nel 1823 pubblicò i suoi scritti in otto volumi con il titolo Memoriale di Sant’Elena. Con quelle pagine, l’imperatore si era assicurato l’immortalità. Dalla morte di Napoleone sono trascorsi due secoli e il suo mito è più vivo che mai. Tante, anche in Italia, sull’isola d’Elba in particolare, le iniziative per celebrare l’anniversario: aste, mostre, convegni, itinerari turistici sulle rotte napoleoniche. Eppure, soprattutto in Francia, questa ricorrenza ha acceso un ampio dibattito, perché, a guardarlo con gli occhi della contemporaneità, Napoleone – l’imperatore, il grande stratega, il riformatore, il “padre” delle Grandes Ècoles che da allora hanno formato la classe dirigente francese – appare anche come un uomo razzista, sessista, schiavista e guerrafondaio. Dunque è il caso di celebrarlo oppure no? Favorevole a una commemorazione, «che non vuol dire necessariamente celebrazione», è Charles Bonaparte, discendente dell’imperatore e autore del libro La Liberté Bonaparte, uscito in Francia lo scorso 17 marzo.

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Annalisa Misceo

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