Violenza sulle donne:
il silenzio complice

Non basta commemorare e indignarsi per le vittime se poi non si è disposti ad accoglierle e proteggerle anche nel proprio spazio.

Avevo deciso di scrivere un pezzo su un altro argomento, per questo numero di Madre. Già confezionato, pronto per essere rivisto e consegnato. Poi m’imbatto in una notizia e mi sale rabbia mista a tristezza. Un po’ perché considero il tema importante e doloroso, un po’ perché il fatto avviene a poche centinaia di metri da casa mia. E poi perché non finisco mai di inorridire di fronte al male con addosso il volto della prepotenza, e non della banalità, purtroppo, cara Hannah… È più forte di me: mi stupisco che si possa essere così feroci. Per questo straccio il primo articolo e ne scrivo un altro. Che nasce dal titolo: «Noi, in quel palazzo, non le vogliamo: ci deprezzano il valore del bene», su via Cassia. Si parla di «una casa rifugio, per donne umiliate, vittime di soprusi, spezzate dalla violenza maschile, che cercano solo di riprendere in mano la propria esistenza». «Non sia mai», si aggiunge, «che un giorno i nostri figli dovessero trovarsi in classe con i bambini di quelle donne», «ci sono pure molti studi di professionisti in zona, ne risentirebbero anche loro».

Il seguito sulla rivista

Vittorio Sammarco

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