Elogio al nettare degli dei

Getty images

Un inno al vino, che si gusta e si sorseggia, che delizia i palati borghesi e popolari. Dalla storia dell’Est Est Est del vescovo Johannes Defuk a quella del metodo champenoise, inventato dal monaco benedettino dom Pérignon.

Il vino, mon amour. Mio amante segreto, mia perfetta letizia, mio viaggio nell’anima, stordimento creativo e allegria benefica, luogo segreto delle parole giuste e mai pronunciate, pietra di granito e levità poetica. Quante passeggiate lungo i vigneti cosparsi di aromi di uva matura e di sentori di terra, quanti racconti tramandati di generazione in generazione, di contadino in contadino, di raspi in acini, di vendemmia in vendemmia. Il vino è il vino, punto. C’è il vino della povera gente e dei vignaioli di una volta e il vino dei ricchi, dei potenti, di chi ha poderi e nobiltà. C’è il vino di sostentamento e il vino che va in commercio, a deliziare palati borghesi e popolari. Il vino dei nonni che «come veniva veniva» e il vino degli enologi che vanno per la maggiore. Il vino degli chef a tre stelle e quel vino leggermente “frizzantino” che ancora si ostinano a farci assaggiare nelle bettole di una volta e che comunque, malgrado tutti i limiti olfattivi e gustativi, è ancora casa madre di sensazioni antiche, memoria familiare, racconto domestico, abbracci e carezze. C’è il vino dei sommelier e il vino di chi si ostina ancora a dire: «Questo sa di vecchio». C’è il vino degli olfatti imparati a memoria nelle università del gusto che fa molto chic, il floreale, il fruttato, la banana, il cuoio, la vaniglia, la pesca, e chi più ne ha più ne metta, e il vino che sa di amicizia, relazione cercata al vento di ogni sera, come usano fare i tanti giovani che ormai in tutto il Paese usano bere un buon calice all’ora del vespro.

Il seguito sulla rivista

Gianni Di Santo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *