Piccoli ometti e piccole donne crescono

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È capitato anche a voi di sentir definire «un maschiaccio» una bambina vivace? O magari proprio voi, da bambine, eravate chiamate così? A me è capitato, e me lo ricordo bene. Certo mi piaceva muovermi, correre, andare in bicicletta, mi accapigliavo spesso con mio fratello, ma non ero «un maschiaccio». O meglio, lo ero nella misura in cui la mia vivacità non corrispondeva alle aspettative che gli altri avevano sul mio essere «una femmina». Aspettative che prevedevano, rispetto a mio fratello, maggiore tranquillità, maggiore disponibilità all’obbedienza, essere più ordinata e metodica. E che si traducevano in richieste che venivano fatte a me e non a lui: rifare il letto al mattino, apparecchiare e sparecchiare la tavola… Anche se ho avuto due figlie femmine, quindi quando è toccato a me mi sono risparmiata almeno il confronto tra l’educazione al maschile e quella al femminile, mi rendo conto che il modello che ho trasmesso loro è stato più o meno simile a quello di mia madre.

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Annalisa Pomilio

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