La vita nascosta di Franz Jägerstätter

Non più immagini ieratiche e vicende che alludono ai valori più alti dell’esistenza, bensì una storia vera, cruda e bellissima. Quella di Franz Jägerstätter, montanaro austriaco che, richiamato alle armi dal lavoro nei campi durante la Seconda guerra mondiale, rifiutò di giurare fedeltà a Hitler e per questo fu condannato a morte e poi fucilato nell’agosto del 1943. Un rifiuto dettato non tanto da convinzioni politiche contrarie al nazismo, quanto dalla coscienza: fervente cattolico, Franz non poteva col suo giuramento rendersi complice di quelle violenze e persecuzioni di cui già si sapeva. Più che una questione di principio, un problema profondamente sentito nell’anima, per cui questo umile e fiero montanaro (malgrado le indicibili sofferenze procurate dall’abbandono di moglie e figlie) giunse all’estremo sacrificio. Martire misconosciuto, fin quando nel 2007 papa Benedetto XVI ne volle la beatificazione, per rendere omaggio al senso profondo dell’obiezione di coscienza.

Con La vita nascosta – Hidden life, presentato al Festival di Cannes tra gli applausi dei critici ma inspiegabilmente ignorato dalla giuria, il maestro statunitense Terrence Malick (già Palma d’oro sulla Croisette per The tree of life e Orso d’oro a Berlino per La sottile linea rossa) ha saputo scendere dall’empireo di certi suoi film intimi e sentenziosi per tornare a misurarsi con la storia del Novecento. Scorbutico per colpa di un perfezionismo maniacale, Malick è un vero mito della cinepresa, nonostante abbia diretto appena una decina di film nell’arco di cinquant’anni di carriera.

Il seguito sulla rivista

di Maurizio Turrioni

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