Io, padre dimissionario

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Che differenza c’è tra un padre assente e un padre dimissionario? Davvero, non sto scherzando. Della prima figura è ormai colma la letteratura: colui che manca fin dal principio o che improvvisamente sparisce o che, ancora, dopo mesi o anni di fatica genitoriale, fatta ma non riconosciuta, non si sa perché, si dilegua. Comunque sia, lo si racconta in decine di pagine, in romanzi o saggi, in racconti o inchieste. Il prototipo dei padri assenti è diventato lo schema per supportare o anticipare la riflessione sul degrado della società in cui viviamo e sulla crisi delle giovani generazioni. 
Ma del padre dimissionario, colui che in coscienza, con serenità, dice di non farcela più e di voler rimettere il mandato ricevuto, niente, non v’è traccia. Di questo tipo di padre, consapevole delle proprie responsabilità, verificata la posizione acquisita e postosi con chiarezza davanti alla telecamera che registra (per piccoli o grandi schermi, non importa) i risultati (scarsi) ottenuti grazie alle proprie fatiche, nulla. Ecco, proprio di questo padre, di queste voci, vorrei farmi portavoce. Perché non appare raccontabile, narrabile, esponibile. Analisi, discussioni, registri, fotografie, immagini, concetti non sono atti che consentono di interpretare il ruolo a seconda di un modello pubblico configurato dalla consuetudine più o meno legittimamente acquisita.

Il seguito sulla rivista.

di Vittorio Sammarco

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