L’uomo del coraggio

A cent’anni dalla morte ricordiamo Giacomo Matteotti. Simbolo della lotta antifascista, condusse un’opposizione intransigente nei confronti del regime e pagò con la vita il suo eroismo.

«Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Giacomo Matteotti, il segretario del Partito socialista unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come aveva lottato per tutta la vita», recita il discorso che lo scrittore Antonio Scurati ha curato per il 25 aprile scorso, censurato dalla Rai e, a seguito delle polemiche, condiviso sui social dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
A cento anni dalla morte, nonostante la toponomastica lo ricordi più o meno in ogni città, la memoria di Matteotti appare correlata esclusivamente al suo assassinio. Poco si conosce, invece, di un uomo politico di grande caratura e del suo «riformismo intransigente».
Nato nelle campagne intorno a Rovigo nel 1885, secondo di tre figli di una famiglia agiata, Matteotti si laurea in Legge e si iscrive giovanissimo al Partito socialista. Da coerente antimilitarista, allo scoppio della Prima guerra mondiale, come già per il conflitto in Libia, si dichiara contrario all’intervento dell’Italia. Una posizione che lo porta allo scontro con i leader della sua stessa fazione, come Claudio Treves e Filippo Turati, e che gli fa sperimentare l’isolamento che lo accompagnerà per tutta la vita. Del 1916 è il felice matrimonio con Velia Titta, da cui ha tre figli e con la quale intrattiene uno scambio epistolare di grande intensità e bellezza. Nello stesso anno viene chiamato alle armi e internato in una sperduta località sicula perché ritenuto «capace di nuocere in ogni occasione agli interessi nazionali».
Nel 1919 viene eletto deputato e inizia a farsi conoscere intervenendo con disinvoltura e competenza. È il periodo del “biennio rosso”: Matteotti sostiene le lotte contadine per il rinnovo dei patti agrari e cerca di fronteggiare il nascente squadrismo. Ha immediatamente compreso che il movimento fascista, contrariamente a quanto dichiarava, rappresentava un pericolo per le organizzazioni operaie. Le coraggiose denunce delle violenze fasciste lo avevano reso popolare: nel marzo del 1921 viene sequestrato e picchiato. Ovunque è in pericolo. Anche la madre e la moglie vengono insultate e minacciate.

Il seguito sulla rivista.

di Marta Perrini

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