Un maestro tra fiction e realtà
Il regista Wim Wenders è stato eccelso in entrambi i generi. Ora è nelle sale con Anselm, documentario in 3D dedicato al pittore tedesco Anselm Kiefer, suo amico di vecchia data.
La questione è antica e non ha trovato ancora soluzione. Scrive Stephen King: «Un racconto è come un bacio veloce, nel buio, ricevuto da uno sconosciuto. Naturalmente non è la stessa cosa di una relazione o di un matrimonio, ma un bacio può essere dolcissimo e nell’intrinseca brevità del gesto risiede la sua speciale attrazione». Affonda Alessandro Robecchi: «Scrivere un racconto è tra le cose più deplorevoli che esistano. Come spesso capita con le cose deplorevoli, è anche tra le cose più divertenti ed eccitanti nella vita di qualcuno che scrive. Il racconto mette a dura prova i nervi del narratore, che sarà sempre tentato di chiedersi: ma perché non un romanzo? Se l’idea è buona, perché costringerla in poche pagine? Un racconto ha un suo perché per essere un racconto invece di un romanzo. Non è la lunghezza che fa testo (che fa un testo), ma la solidità, le radici che tengono in piedi la storia, che le impediscono di piegarsi persino quando soffia il vento forte della perplessità del lettore».
La diatriba resta la stessa passando dalla pagina scritta allo schermo. È meglio un film o un documentario? Il lungometraggio di finzione rappresenta la forma d’arte più completa oppure lo è il documentario, in cui l’autore deve partire dalla realtà esistente per arrivare a suggerire qualcosa di altro, di più elevato? Nei 130 anni di storia del cinema, non va dimenticato che le prime immagini in movimento proiettate su un telone bianco inchiodato al muro, di fronte agli occhi sgranati di 35 spettatori paganti, furono quelle dell’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat filmate dai fratelli Louis e Auguste Lumière. Pura realtà, quindi. Era il 28 dicembre 1895. Ma neppure un anno dopo un altro geniale francese, Georges Méliès (sì, proprio quello magistralmente raccontato da Martin Scorsese in Hugo Cabret), dava il giro di manovella al primo dei suoi oltre quattromila film tutti giocati sulla fantasia, dando concretezza al sogno a occhi aperti. Attori, costumi, artifici, trucchi, tagli, montaggio: tutto per regalare allo spettatore un viaggio per immagini nella fantasia. Allora? Lo sviluppo impetuoso dei vari generi sullo schermo e le platee nei cinema paiono dar ragione ai fan della fiction. Eppure, ogni anno gli Oscar premiano i migliori documentari e sui canali tv dominano i filmati sulla natura. Per non parlare del boom del cinema di montagna. Molti registi, poi, hanno raggiunto la fama affinandosi col documentario. In Italia, tra i tanti, Pier Paolo Pasolini ed Ermanno Olmi (che agli esordi girò una quarantina di filmati industriali per la Edison). La stessa Chloé Zhao, trionfatrice agli Oscar con Nomadland tre anni fa, si era distinta per documentari etnici di cui c’è traccia evidente nei suoi film.
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di Maurizio Turrioni