La narratrice degli ultimi

Chloé Zhao è nata in Cina e cresciuta in America. Con la pellicola Nomadland, è stata la seconda donna, e la prima di origine asiatica, a vincere l’Oscar alla regia.

Prima ancora dei tre Oscar (miglior film, regìa e attrice protagonista), si era già capito che Nomadland era la pellicola migliore, la più significativa di questa stagione cinematografica tormentata dalla pandemia. In precedenza, il Leone d’oro vinto a settembre alla Mostra del cinema di Venezia. Poi, il Golden Globe assegnato dall’associazione dei critici cinematografici stranieri accreditati a Los Angeles. Insomma, un trionfo annunciato. E anche meritato perché mai prima d’ora una produzione hollywoodiana (l’attrice Frances McDormand è stata coinvolta nel finanziamento del progetto, tanto che, la notte del 25 aprile, si è portata a casa anche la statuetta come co-produttrice) era riuscita a intercettare una realtà apparentemente tanto marginale, eppure così americana come quella delle comunità nomadi, che vivono su camper e roulotte lungo le strade del grande Midwest. Alla ricerca di lavoretti occasionali e con il desiderio di costruire una comunità, immersi nella natura e attorno a dei valori veri. Il bello è che a portare sullo schermo questa scheggia dimenticata d’America è stata una giovane donna cinese, naturalizzata dopo anni, che quando era arrivata poco o nulla sapeva degli Stati Uniti. «Dissi solo a mio padre che sarei andata là dove c’era la scritta Hollywood», ricorda Chloé Zhao, 39 anni portati con l’aria di una ragazza con le trecce appena uscita dalle superiori. «All’inizio, conoscevo soltanto Prince, Michael Jackson, Madonna e, in verità, fu più musica che cinema. Faticavo a capire le relazioni tra diverse persone, etnie e classi sociali. Così decisi di dedicarmici con intensità.

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Maurizio Turrioni

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