Quando un padre muore

I genitori non hanno età. E non c’è mai un tempo “giusto” per morire. I figli non saranno mai pronti e lo strappo sarà sempre doloroso.

Quando un padre muore si ritorna bambini, ai giochi e alle sgridate. A quando si era felici, tutta la famiglia di nuovo insieme nella memoria, ancora ignari di cosa la vita avrebbe avuto in serbo per ciascuno di noi. Si ripercorrono date ed eventi, persone incontrate, amici e falsi amici, parole dette, urlate e taciute. E ci si ritrova grandi di nuovo, con la propria vita in mano, consegnata da una stirpe che ci ha preceduti e alla quale abbiamo aggiunto le nostre personali inclinazioni, passioni, sbagli, cadute e rinascite. Non siamo mai stati soli. L’esistenza di ciascuno di noi è aggrappata a una radice. Una lunga teoria di persone che affonda nella notte dei tempi e che continua a darci linfa. Stirpe di Abramo, la nominano i credenti, umanità la chiamano i laici. Generazioni che ci hanno fatto arrivare fino a ora. E che ci chiedono di continuare il cammino. Non solo per noi stessi, ma per chi era e per chi verrà. È il tesoro vero di ciascuna delle nostre famiglie. L’eredità “marchiata sulla pelle” che nessuno potrà intaccare. E sta a ciascuno di noi continuare la storia. Quella personale e quella collettiva, quella dettata dal nostro cognome e quella dettata dal cognome dell’umanità. In questo 2 giugno celebreremo i 75 anni della nostra Repubblica, anche questa frutto di “padri” e “madri” che non ci sono più. Ma che ci hanno lasciato un Paese, una democrazia, una libertà costruiti con sacrificio e sangue, con lacrime e sudore, ma anche con l’entusiasmo di un mondo nuovo nel quale le future generazioni sarebbero vissute. Non si muore invano se il talento passa a chi, nel bene, sa farlo fruttare. E allora, nella memoria dei padri, auguri alla nostra Repubblica e a noi se, non sciupandola, sapremo renderla ancora migliore. 

Annachiara Valle

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