L’uomo che buttò giù tutti i muri

Franco Basaglia, di cui ricorrono i quarant’anni dalla morte, diede impulso alla legge 180 del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi, gettando le basi per la psichiatria odierna, terapeutica e riabilitativa.
La rivoluzione basagliana ha la grande testa del cavallo azzurro di cartapesta e legno che il 26 febbraio 1973 uscì per le strade di Trieste. Un’opera realizzata dai pazienti del manicomio della città e ispirata a un cavallo in carne e ossa, adibito al trasporto della biancheria nell’ospedale psichiatrico. Il quadrupede divenne il simbolo della necessità di aprire metaforicamente le porte dei manicomi alla città e la città ai manicomi. Il sogno di Franco Basaglia di assicurare una dignità a tutti i degenti, dopo anni di chiusura e ghettizzazione, diventava finalmente concreto. Era la fine della istituzionalizzazione, parola complicata e forse brutta, per indicare il confinamento all’interno di pareti, a volte di celle o di gabbie, di tutto ciò che sfuggiva alla classificazione di «normale». Forse non tutto è andato come il grande psichiatra, di cui ricorrono, il 29 agosto, i quarant’anni dalla morte, aveva previsto. A volte le famiglie si sono trovate da sole ad affrontare i casi più gravi, nonostante la riforma Basaglia, condensata nella legge 180 approvata nel 1978, avesse previsto puntuali servizi territoriali di accompagnamento.
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Antonio Dell’Anna