Noi che crediamo ancora nella forza del dialogo
Per molti, ormai, è parola desueta, indice di debolezza, oppure di “buonismo”. Eppure c’è stata una stagione, a ridosso del Concilio, in cui il dialogo era cercato, voluto, sognato.
Era termine inserito nelle testate dei giornali, soprattutto di quelli che facevano riferimento alle realtà ecclesiali. Era parola dall’uso quotidiano.
È sul dialogo che abbiamo costruito l’Europa unita, per metterci al riparo da guerre future e soprusi. È su di esso che abbiamo poggiato l’impalcatura del nostro vivere civile. A volte riuscendoci, altre meno, sulle intese e sulla forza delle parole abbiamo scongiurato crisi mondiali e pericoli estremi per l’umanità. Convinti che solo chi è davvero forte è disposto a mettersi attorno a un tavolo e che il futuro non potesse essere lasciato solo nelle mani dei più forti. Per questo quando il presidente americano Donald Trump fa sfoggio della sua potenza muscolare per dire che, in fondo, è lui il padrone del mondo, noi vediamo solo pericoli e rischi che si ritorceranno anche contro di lui. L’accordo sul nucleare, dal quale gli Usa si sono tirati indietro due anni fa, ha impedito che l’Iran diventasse una potenza nucleare col pericolo di una minaccia atomica costante. Non sappiamo cosa accadrà oggi, ma vediamo che, nelle piccole come nelle grandi cose, le decisioni unilaterali, lungi dal diventare soluzioni definitive, rischiano invece di far precipitare le cose.
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di Annachiara Valle [email]