Il vero mostro è l’incomprensione

Il regista Hirokazu Kore’eda racconta il nuovo film Monster, nelle sale a fine mese. Una storia narrata da tre punti di vista per dimostrare che la verità è difficile da stabilire.

Le cose che colpiscono lo spettatore di Monster, il nuovo film del regista giapponese Hirokazu Kore’eda premiato al Festival di Cannes (per la sceneggiatura di Yuji Sakamoto) e in uscita a fine mese nelle sale italiane, sono lo splendore delle immagini e la delicatezza della storia: il disagio di un preadolescente, il tredicenne Minato, sospettato a scuola di bullismo. Ovviamente, non è tutto qui. Con una struttura narrativa che ricorda Rashomon, il capolavoro di Akira Kurosawa premiato nel 1951 con il Leone d’oro alla Mostra di Venezia e poi con l’Oscar per il miglior film straniero, la pellicola narra la stessa storia da tre punti di vista: quello di Saori, madre single ansiosa e preoccupata; quello di Hori, insegnante all’apparenza severo che scambia un episodio di altruismo per un atto di bullismo; quello di Minato, ragazzino spontaneo e sincero, tanto da non essere compreso dagli adulti. Una struttura fragile eppure travolgente che, riavvolgendo il nastro a ogni versione dei fatti, finisce per confondere e mettere alla prova chi si trova di fronte allo schermo, a dimostrazione di come la verità sia sempre difficile da stabilire.
«Quando è stata annunciata l’inclusione del mio film nel concorso di Cannes», racconta Kore’eda, 62 anni, già premiato sulla Croisette nel 2013 col Prix du Jury per Tale padre, tale figlio e nel 2018 con la Palma d’oro per Un affare di famiglia, «il direttore generale Thierry Frémaux ha evocato Rashomon per descriverlo. Quindi immagino che le persone vedranno il film pensando a questo paragone. Giunti, però, al terzo capitolo della storia, credo che scopriranno che volevamo solo narrare qualcosa di diverso. Parlare dell’esistenza dei bambini. Saori è tutta assorbita dall’educazione del figlio: a volte può sembrare prepotente, ma è una buona madre. In Giappone si dice che quando si abbottona una camicia e si mette il primo bottone nell’asola sbagliata, si tratta di un piccolo errore, ma poi si abbottona male tutta la camicia. La convinzione sbagliata può far sì che tutto sfugga di mano. La stessa cosa accade al professor Hori: non è che abbia una qualche carenza ma, quando si parte col piede sbagliato, le cose non possono che andare storte. Alla fine, questi adulti dovranno rendersi conto che i bambini si trovano in un posto al di là della loro comprensione. Qualcosa di cui preoccuparsi? Io lo vedo come un luogo di possibilità».

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

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