Per non dimenticare

Emanuela Sansone è stata la prima donna vittima di mafia, uccisa nel 1896 a Palermo, all’età di soli 17 anni. Oggi una targa la ricorda. Memoria e monito contro tutti i soprusi, le ingiustizie e le violenze.

Era il 27 dicembre del 1896. Nell’anno in cui Francesco Crispi si dimise dal ruolo di presidente del Consiglio e l’Italia colonialista fu sconfitta dalla resistenza eritrea, a Palermo, nella centrale via Sampolo, la mafia uccise una ragazza di 17 anni. Si chiamava Emanuela Sansone, oggi, dopo 128 anni, finalmente ricordata con una targa apposta dal Comune della città.
La giovane si trovava, con la madre Giuseppa Di Sano, nel negozio di famiglia, non distante dalla piazza del carcere borbonico dell’Ucciardone. Giocava con i fratellini, mentre la mamma, al bancone, stava pesando la pasta per un cliente. All’improvviso il quartiere fu scosso da due forti detonazioni provenienti dalla strada. Non si trattava dei botti di Capodanno, ma di due fucilate. Una colpì Emanuela alla tempia sinistra. La ragazza fu soccorsa e portata all’ospedale militare, dove purtroppo arrivò già morta. La madre, invece, venne gravemente ferita, ma si salvò miracolosamente e dedicò il resto della vita a lottare per la verità e per la giustizia nel nome dell’amata figlia.
Emanuela fu considerata la «prima donna vittima della mafia», come si legge nel provvedimento comunale per l’apposizione del riconoscimento. Secondo l’associazione Libera, invece, il primo omicidio mafioso ai danni di una donna fu quello di Anna Nocera, una ragazza scomparsa nel 1878, dopo una storia travagliata con il suo datore di lavoro, rampollo di una famiglia mafiosa. Anna, coetanea di Emanuela, sparì improvvisamente e di lei non si ebbero più notizie, mentre Emanuela venne assassinata in un agguato plateale nella bottega di famiglia, che fungeva anche da abitazione.
Anna ed Emanuela furono le prime di un lungo elenco di donne vittime della mafia: 133 in Italia negli ultimi 150 anni, tra le quali 36 minorenni. La più piccola fu Caterina Nencioni, di appena 50 giorni, uccisa nel 1993 nell’attentato di via dei Georgofili, a Firenze. Nella lista anche la giudice Francesca Morvillo, assassinata il 23 maggio del 1992 a Capaci, insieme al marito Giovanni Falcone e agli uomini della scorta.
Giuseppa Di Sano fu, invece, l’antesignana delle donne testimoni contro la criminalità organizzata. Il suo esempio venne poi seguito da altre “mamme coraggio”. Tra queste, Francesca Serio, madre del sindacalista socialista Salvatore Carnevale, ucciso a Sciara nel 1955, e Felicia Bartolotta, mamma del giornalista comunista Peppino Impastato, fondatore di Radio Aut, assassinato il 9 maggio del 1978 a Cinisi.
La targa in memoria di Emanuela è stata apposta nella data simbolica dell’8 marzo. Alla cerimonia erano presenti il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il presidente della Commissione regionale antimafia Antonello Cracolici, oltre ai rappresentanti di Centro Impastato, No Mafia Memorial, Unione donne italiane e altre associazioni.

Il seguito sulla rivista.

di Pietro Scaglione

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