Elogio dell’ozio (o forse no?)

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Siamo tutti di fretta. Stressati dalle cose da fare, da mettere a posto, dai conti da pagare, dalle manutenzioni grandi e piccole di case, di auto, di giardini… Le vacanze sono ormai un ricordo lontano, mentre cerchiamo sul calendario quando sarà il prossimo “ponte” per poter riprendere di nuovo, almeno un po’, fiato. Vorremmo avere tempo per noi, per riposare, per giocare con i nostri figli e nipoti, per passeggiare in solitudine o in compagnia. Per oziare. Anche se, quando finalmente si presenta un po’ di tempo libero, cerchiamo subito di riempirlo con qualcosa, quasi fossimo incapaci di stare senza far nulla. «Vi era anticamente», scriveva il filosofo Bertrand Russell, «una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell’efficienza. L’uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos’altro e non come fine a se stesso». In questo mese di ottobre, più di altri appesantito dal lavoro, vale la pena rileggere l’Elogio dell’ozio del pensatore britannico, che auspicava una giornata lavorativa di quattro ore.

Il seguito sulla rivista.

di Annachiara Valle

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