Il sogno di don Bosco

Duecento anni fa, nel 1824, il sacerdote ebbe una visione profetica. Così, in accordo con la volontà di Dio, fondò i salesiani, realizzando uno straordinario progetto educativo in favore dei giovani, che vive ancora oggi.

Un sogno profetico. A nove anni, nel 1824, Giovannino Bosco sognò quella che sarebbe stata la sua missione educativa in mezzo ai giovani. Un «sogno-visione» e un autentico «programma di vita», come lo ha definito il rettor maggiore dei salesiani, il cardinale Ángel Fernández Artime, in occasione del bicentenario di questo avvenimento. Il volume del salesiano don Antonio Carriero, intitolato Né lupi né agnelli (Elledici), lo interpreta in modo intelligente, offrendo notevoli spunti di riflessione. Un libro, come spiega il suo autore, che «esiste per ricordarci che i sogni, anche quelli che sembrano impossibili, possono diventare realtà». Nel testo, il sacerdote fa un’analisi puntuale e meditata del sogno trascritto da san Giovanni Bosco e che lui stesso, al termine della sua vita, ha visto realizzato. «Il sogno», scrive Carriero, «è quell’unica “etichetta” che accomuna tutti noi che siamo incamminati verso la santità. Sei uomo se impari a sognare ogni giorno. Sei un santo se ogni giorno ti svegli per realizzare il tuo sogno». Don Bosco ha fatto proprio così. All’inizio non ha compreso la missione che il Signore gli stava consegnando, ma si è affidato alla provvidenza e si è lasciato guidare.
Quel sogno è oggi la meravigliosa realtà della Congregazione salesiana, impegnata soprattutto nell’educazione dei giovani, con il celebre sistema preventivo del suo fondatore. Il 16 maggio 1887, ormai al tramonto della sua esistenza, don Bosco, mentre celebrava la messa nella chiesa del Sacro Cuore di Roma, comprese che il sogno si era completamente realizzato. Carriero sottolinea «come Dio non scelga i capaci, ma renda capaci gli scelti». Poi aggiunge: «Dio non sceglie i perfetti, ma rende perfetti quelli che sceglie. Dio non ci chiede di essere perfetti, né tanto meno onnipotenti, ma di essere noi stessi, con le nostre fragilità e i nostri limiti». E ancora: «Non dobbiamo vergognarci delle nostre paure, ma affrontarle con fiducia, sapendo che Dio è al nostro fianco e ci ama così come siamo».

Il seguito sulla rivista.

di Francesco Antonio Grana 

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