La speranza che si affaccia
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Non avremmo immaginato, lo scorso maggio, di dover affrontare ancora un anno di pandemia.
Stavamo aspettando le prime timide aperture interrogandoci su quale sarebbe stata la nostra estate e su quando e come avremmo rivisto i nostri amici, gli affetti, i familiari dai quali il virus ci aveva all’improvviso separati. Avevamo negli occhi le immagini delle nostre città vuote e silenti, delle bare allineate nelle chiese, degli infermieri stremati. Ci univa un sentimento di pietà e continuavamo a sognarci migliori. Un anno dopo, invece, con il numero dei morti che continua a salire siamo diventati più rabbiosi se non più cattivi. Abbiamo sviluppato una sorta di incapacità a metterci nei panni dell’altro, a capirne i problemi, a essere solidali. Vogliamo riprenderci tutto: le uscite e gli aperitivi, la scuola in presenza e il divertimento. Senza valutare le conseguenze di queste aperture senza criteri che già la scorsa estate ci costarono un brusco ritorno indietro.
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Annachiara Valle