Totò Schillaci simbolo di riscatto
Il calciatore siciliano, di recente scomparso, diventò celebre per i suoi goal nei Mondiali di Italia 90. Fu dirigente di una squadra composta da immigrati e si impegnò sempre nel volontariato e contro la mafia.
Totò Schillaci, l’eroe delle notti magiche di Italia 90 scomparso prematuramente all’età di 59 anni per un tumore al colon, sembrava predestinato al calcio fin dalla culla. Infatti, per una incredibile coincidenza, il celebre attaccante nacque a Palermo, in via della Sfera 19, codice di avviamento postale 90134: sfera come il pallone, 19 come il numero di maglia storico, 90 come i mondiali del 1990 in cui fu capocannoniere.
Nel quartiere Monte di Pietà, tra la cattedrale e il mercato storico del Capo, Schillaci trascorse i suoi primi quattro anni di vita, prima che il padre Domenico, nel Sessantotto, abbandonasse il centro e decidesse di trasferirsi nella periferia nord-occidentale, nel nuovo quartiere San Giovanni Apostolo, più noto come Cep (Centro espansione periferica).
Nella squadra di calcio della scuola del borgo, il maestro Spicola comprese subito il talento di Totò. Così narrava la figlia Mila Spicola, architetto e insegnante: «Mio padre, maestro al Cep e suo allenatore nella scuola calcio, in quelle sere d’estate del 1990 urlava nel corridoio come un invasato, orgoglioso della sua creatura calcistica, e mi tirava il braccio per portarmi davanti alla televisione, mentre studiavo nella mia stanza per gli esami».
La scuola media, situata vicino al palazzone dove abitava la famiglia Schillaci e al campetto del Cep dove giocava Totò, si chiamava Crispi Cocchiara Veneto, oggi denominata Istituto Comprensivo Giuliana Saladino. Secondo l’attuale dirigente scolastico Giusto Catania, «Totò era un simbolo di riscatto per i ragazzi e le ragazze del Cep. Abbiamo inaugurato la nuova palestra della scuola e abbiamo chiesto di intitolarla a lui».
Dopo la gavetta nella scuola calcio del quartiere, Totò entrò nella squadra dilettantistica dell’Amat, l’azienda di trasporti locale. Giocò anche con Beppe Accardi, oggi procuratore calcistico.
Nell’Amat il suo talento fu scoperto dal professor Franco Scoglio, originario di Lipari, che nel 1982 (l’anno dei mondiali di Spagna, dell’urlo di Marco Tardelli e dei goal di Pablito Rossi) convinse il Messina Calcio ad acquistare il calciatore in serie C.
Nella città peloritana, Schillaci – fino a quel momento chiamato Salvo dalla madre Giovanna, dalla sorella Rosalia e dai fratelli Giovanni e Giuseppe – divenne per tutti Totò.
Dopo l’era del professor Scoglio, nel Messina fu l’epoca di Zdenko Zeman e del calcio totale all’olandese. Anche Zeman fu importante nella vita di Schillaci, perché lo fece diventare capocannoniere della serie B e perché lo zio del tecnico boemo, Cestmír Vycpálek, nel 1989 ne propiziò il trasferimento nella Juventus allenata da Dino Zoff, con la porta difesa da Stefano Tacconi.
Le ottime prestazioni di Schillaci con la maglia bianco-nera convinsero il commissario tecnico Azeglio Vicini a convocarlo in Nazionale.
Tuttavia, alla vigilia dei mondiali del 1990, nessuno si sarebbe immaginato un suo impiego da titolare. In un gioco il Guerin Sportivo attribuì a ciascun calciatore azzurro una squadra e a Schillaci fu assegnato il fanalino di coda, la Corea del Sud. Eppure, la celebre canzone Un’estate italiana di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, inno di Italia 90, sembrò descrivere, in modo incredibilmente profetico, la figura di Schillaci: «Notti magiche / Inseguendo un goal / Sotto il cielo di un’estate italiana / E negli occhi tuoi / Voglia di vincere / Un’estate / Un’avventura in più».
La favola di Schillaci in Nazionale iniziò con il suo goal decisivo in occasione di Italia-Austria, dopo appena quattro minuti dal suo ingresso in campo al posto di Andrea Carnevale.
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di Pietro Scaglione