Fragile democrazia
Secondo il politologo Damiano Palano, dobbiamo trovare idee e soluzioni per preservare la sovranità popolare. Solo così si potranno arginare le derive autoritarie presenti nell’opinione pubblica.
Le stime più recenti sulla libertà nel mondo dicono che il 20 per cento della popolazione vive in sistemi democratici o presunti tali, il restante 80 per cento in contesti con diversi gradi di restrizioni. La democrazia va progressivamente frammentandosi e deteriorandosi: al di là di cifre e numeri, è un dato di fatto anche per noi. È peggiorata senza dubbio la qualità dell’offerta e della partecipazione, gli aspetti comunicativi prevalgano sui contenuti, il consenso si forma intorno ai leader che cambiano posizione con disinvoltura anche su temi cruciali, gli elettori sono suddivisi in gruppi di interesse autoreferenziali con logiche di breve periodo.
«L’ideale democratico è talmente ambizioso che, se lo confrontiamo con i nostri governi, possiamo dire che nella storia d’Italia non lo abbiamo mai pienamente sperimentato», afferma Damiano Palano, direttore del dipartimento di Scienze politiche e professore di Teoria politica dell’età globale all’Università Cattolica di Milano, oltre che autore di libri come Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Scholé 2020), Animale politico. Introduzione allo studio dei fenomeni politici (Scholé 2023). «Con il termine democrazia non ci riferiamo solo a una forma di governo, ma anche a una serie di istituzioni e a un modo specifico di attuare la convivenza sociale».
Un modello che per sua natura non è stabile e che ultimamente si sta trasformando in maniera radicale a grande velocità. Secondo l’esperto è possibile individuare tre cause che, intrecciandosi, hanno accelerato il corso della situazione. «La prima ragione è culturale», spiega il docente. «Si tratta dell’effetto della società dei consumi, un fenomeno che inizia ad affiorare negli anni Settanta, le cui conseguenze diventano visibili a partire dal decennio successivo. Da un “eccesso” di partecipazione si passa a un allontanamento dalla politica: inizia un processo di individualizzazione che porta ogni cittadino occidentale a nutrire sfiducia nei confronti delle leadership di qualsiasi organizzazione. La seconda ragione è il grande mutamento geopolitico che si registra con la fine della Guerra fredda e del bipolarismo, quando le priorità delle democrazie occidentali si sono modificate perché è venuto meno il rischio di un conflitto. La terza ragione è il cambiamento profondo delle economie dei Paesi industrializzati avanzati, che ha portato alla creazione di nuovi rapporti di potere e al declino della classe operaia (e del ruolo sociale che aveva rivestito)».
Il seguito sulla rivista.
di Marta Perrini