Benvenuti a Megalopolis
Il nuovo (e forse ultimo) film del regista Francis Ford Coppola collega la Roma antica alla New York contemporanea. Un’opera visionaria, tra utopia e conservatorismo. Ora nelle sale.
Assieme a Martin Scorsese, Steven Spielberg e George Lucas completa il poker d’assi con cui la nuova Hollywood ha sbancato il botteghino internazionale. Autore di film di grande impatto visivo, capaci di traghettare lo spettatore dagli abissi dell’anima alle vette dell’umana speranza. In sessant’anni di spericolata carriera, Francis Ford Coppola è entrato nella storia del cinema alternando film lodati dalla critica (La conversazione, Palma d’oro a Cannes; Patton generale d’acciaio, di cui scrisse il copione vincendo il primo Oscar; I ragazzi della 56ª strada, con cui intercettò disagi e mode giovanili; Dracula di Bram Stoker, tra gli horror più suggestivi di sempre) a flop clamorosi (l’ambizioso Un sogno lungo un giorno, il manierato Cotton Club, il cervellotico Un’altra giovinezza). È arrivato, però, a filmare capolavori assoluti quali la trilogia Il padrino (ispirata all’omonimo romanzo di Mario Puzo), archetipo di ogni storia di mafia, valsa una pioggia di Oscar per il cast e altre quattro statuette a Coppola (due per la sceneggiatura, una per la regia, una per il miglior film). E soprattutto Apocalypse Now, controverso e visionario film sulla guerra disumanizzante, attraverso la rilettura, ambientata nel Vietnam, del romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad: lavorazione lunghissima e travagliata, che portò quasi al tracollo finanziario gli studi Zoetrope del regista, ma poi, col tempo, clamoroso successo di pubblico e di critica (seconda Palma d’oro a Cannes più due Oscar, di cui uno per la fotografia di Vittorio Storaro).
Insomma, a 85 anni (è nato a Detroit il 7 aprile 1939) Coppola non deve certo dimostrare nulla. Invece, però, di godersi la fama e le glorie di famiglia (Roman, il figlio maggiore, lavora tra cinema e tv, mentre Sofia, la minore, è regista di fama mondiale) o magari i suoi pregiati vigneti californiani, il vecchio Francis si è fatto ancora catturare dal vizio del cinema. Così, dopo aver guadagnato fiumi di denaro e averne speso quasi altrettanto sui set, ha messo di nuovo mano al portafogli per finanziare una pellicola che sognava di fare da anni. Una produzione, come suo solito, ambiziosa e rischiosa a tal punto che nessuna major ha voluto appoggiarlo. E così lui, proprio come aveva fatto negli anni Settanta per Apocalypse Now, ha deciso di rischiare in proprio. «I soldi non contano, sono gli amici la cosa importante», ha dichiarato alla platea di giornalisti accalcati per la sua presentazione al recente Festival di Cannes. «Per questo film ho speso 120 milioni di dollari del mio patrimonio, ma i miei figli hanno tutti delle splendide carriere, sono indipendenti. Non mi sento in colpa per aver intaccato l’eredità». Ha poi proseguito in tono allegro, affiancato dalla sorella Talia Shire (la famosa Adriana di Rocky) e dalla nipote Romy: «Sono pieno di sollievo e di gioia, un’emozione che non può essere descritta. Megalopolis è il coronamento di quarant’anni di lavoro e di gestazione. Un’idea costruita, abbandonata e ripresa tante volte. Dopo la pandemia ho capito che dovevo fare un ultimo film in cui affrontare grandi temi. Cosa è davvero importante? Conta l’economia di un Paese o gli sforzi che si compiono nella sanità, nell’istruzione, nella qualità della vita?».
Il seguito sulla rivista.
di Maurizio Turrioni