L’anima della democrazia

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con a fianco il cardinale Matteo Maria Zuppi e il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga alla cerimonia di apertura della Settimana sociale dei cattolici, lo scorso luglio a Trieste. Foto di Paolo Giandotti – Ufficio Stampa Quirinale

Riportiamo il discorso pronunciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della recente Settimana sociale dei cattolici. Uno spunto di riflessione sulla libertà e sul valore della Costituzione.

Dal 3 al 7 luglio scorso si è svolta a Trieste la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia con il titolo Al cuore della democrazia. In questo mese di settembre sono attese le conclusioni che, per la grande mole di iniziative, buone pratiche, approfondimenti, hanno richiesto qualche settimana per le valutazioni. Intanto, riproponiamo di seguito parte del discorso inaugurale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su cui vale la pena riflettere e meditare.

Democrazia
Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo. È ampiamente diffusa. Suggerisce un valore. Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere.
Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera.
Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte.
Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro. L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di rispetto reciproco. Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima. Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia. O questa si traduce soltanto in un metodo? Cosa la ispira? Cosa ne fa l’ossatura che sorregge il corpo delle nostre istituzioni e la vita civile della nostra comunità?
È un interrogativo che ha accompagnato e accompagna il progresso dell’Italia, dell’Europa. Alexis de Tocqueville affermava che una democrazia senz’anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali, naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno. Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con l’acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale. Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiava l’alito della libertà, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini. L’alito della libertà, anzitutto, come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale o politico, come diritto all’opposizione.
La democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando, naturalmente, l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità ed eguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che queste possano, a loro volta, divenire maggioranza. È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere. Quali le ragioni del riferimento all’alito della libertà parlando di democrazia? Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo stato di diritto e alla democrazia stessa.
Il tema impegnativo che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella quindi, con forza, tutti. La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità. Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta? Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”? Si può pensare di arrendersi, pragmaticamente, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “Cosa pubblica”? Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali.

Il seguito sulla rivista.

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